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Immagine del redattoreDrimage Creative Studio

Un po' meno spocchia, figliolo


Ti è mai capitato che un collega, guardando le tue foto alzasse un sopracciglio e dicesse “hmmm si, le tue sono delle belle immagini”? L’hai sentito quel velato strato di spocchia che ti si adagiava addosso come un plaid in inverno? Quel “ehi, non sono mica fotografie vere, ma mi stanno simpatiche“. E’ la più abusata riflessione sulla fotografia che continua a saltare fuori in ogni articolo o discussione. Ma questo benedetto reportage, questo presunto “purismo”, questa ricerca della “vera” fotografia, non ci ha un po’ esasperato?

Personalmente si; e dopo aver letto l’ennesimo articolo che condanna Photoshop addirittura volendolo “vietare per legge”, mi sono sorti alcuni dubbi su questi grandi maestri che si proclamano “puristi”. Partirei dal presupposto che tutto quello che si fa con la macchina fotografica è una fotografia, lo è e basta, esattamente come tutto quello che si fa con tela e pennelli è pittura, a prescindere dal soggetto rappresentato, dalle tonalità di colore, dalla tematica. Cercare di denigrare una fotografia “degradandola” a immagine crea solamente una nube di aria fritta. Quando è nata la fotografia, un gruppo di pittori ha detto un bel “ciaoone” e hanno iniziato a dipingere quello che volevano sperimentando, osando, spingendo il più possibile le espressioni creative dei loro strumenti (parlo degli impressionisti e tutti gli altri dopo di loro). Da qui era nata la convinzione del popolo e degli altri pittori che, con uno strato bello spesso di spocchia ed il sopracciglio alzato di prima, affermavano che quella non era pittura. Infatti per diversi anni quei poveretti non furono accettati perché i loro non erano considerati dei veri quadri. Poi sono passati alla storia in barba a tutti gli altri, ma questo è un altro discorso. Tutti i fotografi che oggi, nel 2016, parlano ancora di fotografia “pura”, cercando di stabilire delle regole generali, che tirano su il naso e abbassano le palpebre dicendo “non è una fotografia ma un’immagine” sembrano i vecchi rettori delle Accademie di Belle Arti dell’Ottocento, proprio quelli che dicevano che l’impressionismo non era pittura. Poi quali siano le caratteristiche universali di questa purezza non si capisce mai. Ma perché mai voler dare a tutti i costi delle limitazioni a questo strumento, delle difficoltà aggiuntive, delle regole? Forse per poter dire che chi è più bravo di noi lo ha fatto imbrogliando, con photoshop per esempio, nonostante sia la palese evoluzione della camera oscura che ci piaceva tanto. O forse perché, tanto per cambiare, se non possiamo dire che ci sentiamo i più bravi dobbiamo dire che sono pessimi gli altri? Va bene che alcune tipologie di fotografia abbiano delle regole, ma che non sforino negli altri settori che richiedono altrettanta abilità. Ogni critica va circoscritta all’ambito di cui si parla. Non si può pretendere, ad esempio, che la fotografia da matrimonio rispetti le stesse regole del reportage giornalistico in guerra; non si può dire che una fotografia pubblicitaria, un ritratto, una fotografia artistica, non sia una fotografia ma un’immagine. Non si può pensare che la post produzione, parte integrante dello sviluppo di ogni fotografia, debba essere abolita. Non la si faceva anche in misura uguale anche con la pellicola? Siamo nel 2016 e, citando Al Pacino: “un po’ meno spocchia, figliolo”.

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